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Faust, frammenti parte seconda - 1990-91

autore: Johann Wolfgang Goethe
traduzione: Giorgio Strehler, Gilberto Tofano
regia: Giorgio Strehler
scene: Josef Svoboda
costumi: Luisa Spinatelli
musiche: Fiorenzo Carpi, Aldo Tarabella
    


Appunti di regia Faust parte seconda 1991

Appunti di regia sul Progetto Faust di Goethe. Riflessioni sulla seconda parte del progetto di ricerca che debuttò il 28 aprile 1991 al Teatro Studio di Milano.

Faust/Frammenti parte seconda 1990/1991

 

Dal Programma di sala 1990/91

 

Con la rappresentazione dei Frammenti della parte seconda del Faust di Goethe, il "Progetto Faust" è giunto alla metà del suo cammino; un cammino di ricerca e di riflessione sicuramente non semplice, un lavoro collettivo faticoso che ci ha lasciato talvolta perplessi, talvolta inermi, ma sempre ammirati e sconvolti di fronte alla grandezza del testo che andavamo via via affrontando.

 

Un lavoro di umiltà, dunque anche il nostro, nel tentare di dare corpo reale, sulla scena, ad una delle più grandi opere della cultura umana, che Goethe stesso aveva scritto e inteso come opera teatrale. Su questo punto non abbiamo mai avuto dubbi. Non abbiamo mai esitato a credere alla "rappresentabilità" della "Tragedia Faust" da tanti giudicata "irrappresentabile" soprattutto per quanto riguarda la Seconda Parte.

 

Per noi, non esiste teatralità più alta, più complessa, più sperimentale ed abbagliante di questo viaggio verso l’infinito. Così, con i Frammenti della seconda parte, dei 12.111 versi del Faust ne avremo rappresentati circa 6.500. Con quale criterio sono stati scelti "questi" Frammenti, e perché alcune parti sono state privilegiate rispetto ad altre? Con quello di tracciare per il pubblico un chiaro filo conduttore di un’avventura terrena e metafisica, senza troppo semplificare la sua straordinaria complessità. La nostra interpretazione - del resto - é una rappresentazione in divenire che si completerà in momenti successivi.

 

Come Faust è la tragedia del Divenire dell’Uomo. Divenire inteso come mutamento, spinta anche al di là del possibile per cercare un’unica possibilità di salvezza: fermare l’Eterno nell’Attimo. Le due coordinate fondamentali, lo Spazio e il Tempo, si annullano in questo Divenire, e così Faust non ha limiti, è atemporale anche se la sua scommessa con Mefistofele, che a torto viene chiamata "patto", ne segna la carnalità e la illusoria immortalità. Soltanto nel mutare della vita e nella sua carnalità e una illusoria immortalità. Soltanto nel mutare della vita e nella sua ciclicità, rigeneratrice di nuova vita all’infinito, Goethe ci definisce il suo concetto di immortalità.

 

E la "Storia" di Faust si snoda in una dialettica eterna iscrivendo una storia terrestre in un contesto cosmico. Per il resto, la risposta non può che essere una: il materiale rappresentabile a cui ci siamo trovati di fronte è talmente vasto, da richiedere necessariamente non tanto dei "tagli" ma delle "omissioni" per riservare alla ricerca del prossimo anno ciò che non è stato sino ad ora rappresentato, naturalmente seguendo lo stesso metodo che ha accompagnato il nostro lavoro fino ad oggi.

 

La seconda parte si apre con il Prologo sulla Terra, non in Cielo, dove il sole nascente ripete però il motivo di un immenso ordine universale. Qui, terrenamente, Faust si risveglia immemore alla vita, e nel finale del Prologo, sovrastato da un arcobaleno "che immobile, muta", enuncia: "Come rassomiglia all’agire dell’uomo...Soltanto in un riflesso colorato ci è concesso possedere la vita". E appunto, in un riflesso colorato vive l’imperatore nel suo Palazzo, ignaro del destino del suo popolo. E’ questo il compito di Mefistofele: ricoprire tutto di una finta, malefica, illusione.

 

Ecco allora rovesciato il mito di Pluto, Dio della Ricchezza che "dona di sé" e della Poesia fonte anch’essa di inestinguibile ricchezza - ma fragile, impotente ed esiliata - con l’invenzione "diabolica" della Carta Moneta, simbolo del Possesso e della Ricchezza Accumulatrice. Quella che regge il nostro oggi. Il doppio di Faust non è soltanto Mefistofele. Faust è anche il doppio contraddittorio di se stesso: è colui che vuole possedere tutto ma che pur tuttavia ha sempre dentro una luce, una scintilla che lo illumina, rendendolo in qualche modo cosciente che il Possesso materiale non salva, anzi distrugge.

 

Questo bagliore accompagna meravigliosamente il Faust e tutta la Poesia e Verità di Goethe. Faust, uomo, vende la sua anima e nel momento stesso in cui compie questo gesto in un certo senso liberatorio, perché di "scelta", perde la sua Libertà, quella a cui anela, per cui è disposto a tutto. Per Faust, Libertà è Verità, è Bellezza che egli cerca in uno spazio sconfinato, in un viaggio all’interno del Mito, perché solo in esso, nell’Eterna Verità del Simbolo può trovare la sua salvezza. Là, nel "Mondo Simbolico", tutto può essere consumato, perché è tutto fissato per sempre. Faust, raggiunta Elena, ha raggiunto l’unica possibilità di fermare il suo tempo. Ma a Faust "Uomo" non può essere concesso di appartenere alla fortunata schiera degli Dei-Simboli-Archetipi e alla sua disperazione terrestre non rimane che un candido velo bianco, che Elena, ritornata nell’Eternità, gli ha lasciato come Simbolo della sua esistenza di Simbolo. Che cosa resta da fare - a Faust - a questo punto? Costruire sulla Terra, fermare la Natura delle Cose, capovolgere insomma, distruggere per poi ricostruire ancora in un agghiacciante cerchio di infelicità e contraddizione. Faust-Mefistofele insieme creano il mondo moderno, un mondo dove si combatte per un possesso effimero che dura un istante, ma che è feroce e vuole tutto, che è una spinta ossessiva e vorace, irrefrenabile e lacerante. Così anche Filemone e Bauci, due "vecchi", simboli dell’unione e di un amore umano, tenero e discreto, vengono uccisi.

 

Perché nel mondo di Faust-Mefistofele non c’è più spazio nemmeno per un barlume di tenerezza, e soltanto l’Angoscia può convivere con lui, unica compagna che egli ama ed odia, ma dalla quale non può staccarsi perché il suo "Male" ha raggiunto il punto assoluto. L’angoscia vitrea e funerea lo assalirà fino alla morte, anche se per qualche istante egli crede di essersene liberato. Alla fine, Faust, vecchio e cieco (ha cento simbolici anni, dice Goethe; come Re Lear) si avvia inconsapevole verso la morte che Mefistofele aspetta avido; ma all’improvviso - nel nostro spettacolo - come per un miracolo dell’anima, gli occhi si spalancheranno per afferrare il nuovo attimo "inattingibile" eppure "possibile".

 

E il corpo di Faust precipiterà non in una fossa ma nell’eternità. L’anima di Faust non potrà essere posseduta da Mefistofele. Perché nessuno può possedere l’Uomo se non la Natura delle cose. Per questo nella nostra interpretazione Faust ritorna embrione nel grembo della Madre Terra: non per "posare", ma per continuare l’infinita dialettica del mondo.

 

Cosa può restare dopo questa rappresentazione agli "uomini di oggi" che dovrebbero rabbrividire di fronte all’attualità di questo Testo?

 

La risposta può darcela, forse ancora una volta Goethe, che in una lettera alla contessa Augusta von Stolberg, ormai vecchio e malato, scrive: "Vivere a lungo significa sopravvivere a molte cose, a persone amate, odiate, indifferenti, sopravvivere ai regni e alle capitali, anche ai boschi e agli alberi che giovani abbiamo seminato e piantato. Sopravviviamo a noi stessi e ci riteniamo soddisfatti quando ci rimane qualche offerta d’amore e di spirito. Sopportiamo tutto questo trascorrere se ci rimane l’eterno di ogni attimo presente: non soffriamo del tempo che passa".

 

Giorgio Strehler

 

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